Il Piave,che “mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il 24 maggio” (del 1915) da tempo non c’è più. L’assalto dei prenditori ingordi alle risorse idriche del fiume, iniziato nel primo decennio del Novecento e conclusosi nei primi anni Cinquanta dello stesso secolo con l’ultima autorizzazione a derivare acque a Soverzene, ne ha definitivamente cambiato il destino. Il Piave, infatti, nasce sempre alle pendici del Peralba ma muore, di fatto, a Soverzene, dove gli utilizzatori, da sempre, hanno mano libera ad abbeverarsi senza controlli e sono autorizzati, assurdo ma vero, a derivarne mediamente l’intera portata del fiume, distogliendola in direzione del Fadalto verso altro bacino idrografico. È da Soverzene, quindi, che si origina ora il “nuovo” Piave, che avanza faticosamente in direzione di Belluno, prima di affrontare il suo corso di pianura, rianimato appena dai contributi del Cordevole, a sua volta “massacrato” nei propri deflussi dai “Signori delle acque”. Dal sistema dissennato di concessioni assentite ai “poteri forti” da controllori impreparati, mai valutato nella sua sostenibilità, né allora, né ora, nasce senza dubbio anche l’idea del “Grande Vajont” e quanto, ahimè, è poi conseguito, a causa dell’ingordigia dell’uomo mai sazio. Pur mancando quell’invaso di 150 milioni di m3, ad oggi non si è ancora assistito a un sussulto di dignità, annullando l’incremento delle portate concesse agli utilizzatori proprio in virtù della presenza di quel volume, che in verità non è mai stato disponibile. Così va il mondo, che sembra aver messo all’angolo anche il buon senso e, nella sua arroganza, concede in fiducia ciò che ancora non esiste!